La vera storia di una canaglia del West...

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Capitolo XV: Aria di crisi.

"Purtoppo, anche se era appena passato un inverno particolarmente mite e piovoso, che faceva augurare un buon raccolto e tanta erba per i nostri manzi, nulla cresceva dai campi e la vegetazione moriva...

Da tempo ormai quello strano scolo era finito, ma adesso sembrava che la maledizione si fosse spostata su di noi, oltretutto dei piccoli litigi con delle città vicine non miglioravano la situazione...
Giunse l'estate, ed eravamo costretti ad acquistare apprigionamenti da una città dell'est, chiamata Sergio Leone, per continuare a vivere...

E così mi tornarono in mente le sorti di Pazzia. rabbrividii, non potevo lasciare che accadesse anche con noi.
Le notti uscivo ad esplorare il territorio; era sempre tutto calmo, non soffiava il vento e la luna illuminava a giorno i campi e i boschi, silenziosa e passiva testimone del mio errare.
Una di quelle notti, improvvisamente, scorsi non lontano dalla città un fuocherello dislocato su di un'altura... non era molto, ma valeva la pena provare... ma prima rincasai, mi vestii pesante, mi caricai ancor di più di munizioni, e scrissi questa lettera che ancora oggi rileggo, lodando il Signore per avere avuto l'idea di scriverla:

-Io, Noia di Gettysburg, veduti dei movimenti sospetti su di una montagna a Nord della medesima città, mi accingo a scoprirne le cause. Se non tornerò prima di domani sera, iniziate le ricerche.- e la lasciai all'ingresso della casa del sindaco Qwein.

Stavo per partire per una missione ignota, che poteva rivelarsi un semplice incendio o la mia sepoltura prematura..."
 

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Capitolo XVI:Il ratto del duellante.

"Con cavalcata lenta mi avvicinai ai piedi della montagna.
Il terreno era assai friabile ed alcuni massi di enormi dimensioni mi avvertivano di stare attento ad eventuali frane...
Legai il mio cavallo di seconda mano ad un albero ed incomiciai la scalata. Trovai stranamente un sentiero illluminato dalla luna ed iniziai a percorrerlo, certo di dove mi avrebbe portato.
Un passo dopo l'altro la strada si stringeva sempre di più, alcuni sassolini cadevano da un dirupo a lato, ma finalmente giunsi all'ingresso di questa grotta illuminata, un focolare proiettava le sue immagini ballerine all'interno.

All'improvviso un calcio di una pistola mi colpì sulla nuca svenni ancor prima di sentire il dolore.

Era tutto nero ed ero prigioniero..."
 

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bella la continuazione,ma nn tenerci sulle spine,racconta come va avanti!:)
 

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Vi ringrazio ancora; purtroppo per tre giorni dovrò andare in montagna quindi non potrò pubblicare nulla.

Capitolo XVII: La liberazione

"Poco alla volta iniziai a riprendermi. Le idee si agitavano confuse nella testa ed una forte emicrania tartassava la parte frontale del mio viso, ma poco alla volta il dolore passò ed i miei occhi iniziarono ad abituarsi al buio: ero in una cella scavata nella roccia, si poteva distinguere l'irregolarità del taglio ed un qualcosa tipo muschio era cresciuto su di una roccia, alimentato dall'umidità e da un leggero corso d'acqua. Ne bevvi e mi diede una sferzata di energia, ora restava da scoprire chi mi aveva catturato e quali erano le sue intenzioni.

Mi accostai alla porta tendendo l'orecchio verso il legno marcio: per molto tempo l'unico suono era quello dell'acqua che scorreva interrotto solo dal fischio del treno che passava in lontananza, poi qualcuno entrò e riconobbi delle voci, e particolarmente una.

- Che ne facciamo del prigioniero?- disse uno;
- E' ancora svenuto, aspettiamo, non sappiamo neanche chi sia.- continuò un altro dalla voce famigliare;
- Appunto: uccidiamolo- rispose seccato ed io rabbrividii;
- No, il capo sono io e decido io: sono io quello che avuto l'idea di far decadere le città qui in zona per ottenere il monopolio dell'oro nella regione, quindi dico che prima bisogna interrogarlo- Urlò sommessamente e finalmente lo riconobbi! Era uno degli abitanti di Sergio Leone, uno con cui non avevo mai parlato, ah, il gaglioffo come osa!
-Sì, va bene capo- rispose stizzito l'altro -se pensi che sia mhmmgfdfgfgmm!-
-Se pensi che sia cosa?- disse preoccupato.

E poi fu tutto rumore: qualcuno era entrato, forse per liberarmi!
Le mie speranze si confermarono quando la porta fu sfondata ed entrarono Qwein e Balza a prendermi...
Ancora una volta ero salvo, ma arrabbiato: volevano fregarci! Ma a noi non la si fa tanto facilmente..."
 

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noooo!!! mi lascia con la suspence per 3 giorni!!! nn ce la farò!!:D:D
 

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Capitolo XVIII: L'onore.

"Il giorno seguente, una volta ristoratomi, si tenne una seduta straordinaria nella sala riunioni ufficiale della nostra città: il saloon.
Eravamo posti di fronte ad un bivio: era evidente che anche a Sergio Leone interessavano i giacimenti del nostro territorio, e dovevamo trovare un modo per fare giustizia, a rischio della vita. Si decise per una soluzione estrema: portare le disgrazie in casa loro; il mattino dopo, montati sui cavalli, ancora prima che il sole si stagliasse alto nel cielo, partimmo pronti a dimostrare, più a noi stessi che ad altri, il nostro coraggio.

Arrivammo qualche ora dopo, e già le prime ombre della notte si dilungavano all'orizzonte: ci avvicinammo e, preparate le pistole, irrompemmo in città.

Dio solo sa quanti ne stendemmo, colti dall'effetto sorpresa... ma anche alcuni di noi le presero e caddero tramortiti: Qwein fu ferito ad una gamba, colpito ( Ma non ditiglielo!) da me mentre mi dibattevo contro uno grosso... Karabina fu preso di striscio... ma avevamo vinto!

Veloci come eravamo arrivati, ci allontanammo, con le tasche piene ed il morale alle stelle."
 

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Capitolo XIX. Risse da bar.

"Tornati mezzi estasiati e mezzi ebbri per la vittoria, ci rinchiudemmo a festeggiare nel saloon a suon di pianoforte e birra.
Tale bevanda sgorgava a fiumi ed il barista contava felice i mucchi di dollari appena incassati, c'era chi offriva da bere a tutti per più giri... c'era chi scommetteva al tavolo da gioco, e proprio lì troviamo, cari lettori, il generale Qwein che giocava con Balza, Mac e Von Amadeus...
Questi stava scomettendo tanti, forse troppi dollari e Qwein era un maestro in questo gioco, partita dopo partita, alterato dall'alcol, Von scommise sempre di più, ed ogni volta perdeva...

Rivedendo in lui mio padre, gli dissi di finirla lì quella sera. Lui probabilmente intese male le mie parole: si alzò torvo, prese una bottiglia per il collo e ne spezzò, sbattendola contro il tavolo, la parte inferiore e, puntandomi la bottiglia affiliata, tentò di avventarsi su di me, ma il colpo che aveva intenzione di vibrare fu fermato da una sedia che avevo lesto impugnato e rovesciato contro di lui; e tentando di rifilarmi un'altra bottigliata fu freddato da un preciso colpo di machete di Balza al collo, per evitare altri guai.

E così, a causa di questo vizio, perdemmo uno dei nostri più emeriti cittadini, caduto in un vizio che anche Alessandro il Macedone non potè tenere a freno..."
 
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Capitolo XX: Gli indiani.

"Come non è bello perdere un amico, anche se ha tentato di uccidermi, non è il massimo scoprire altri nemici: la batosta inferta a Sergi Leone bastava farli strae lontani, ma ben presto scoprimmo che non erano gli unici a volerci morti.

Una mattina, mentre eravamo impegnati nella costruzione di un ponte che avrebbe portato, senza dover guadare il fiume, ad una nuova miniera di argento scoperta di recente. Poste le fondamenta e pregustandoci tutti i dollari che avremmo guadagnato dalla vendita di dieci, cento, mille e più barre di ferro, arrivarono due indiani dalla pelle molto rossa e con strani disegni sul petto.

Li guardammo con sguardo interrogativo: erano sempre stati pacifici con noi, cosa volevano da noi?

-Dove è vostro capo?- chiese uno dal buffo copricapo di piume,
-Sono qui- rispose Qwein,
-Abbiamo da parlare: voi stare costruendo una strada su fiume che porta sul nostro monte sacro, vero?- domandò con aria severa, come se avessimo commesso un delitto, ed effettivamente per loro lo era: la miniera si trovava proprio sulla montagna sacra!
-Se volete fermarci, fatelo, ma dovrete usare la forza!- fu la risposta di Qwein, a cui si erano illuminati gli occhi di quella luce già nominata.
-Stolto di un bianco, pagherai l'affronto!- e se andò sparando in aria col fucile da noi scambiato per delle risorse: non solo avevamo un nemico potente, ma era stato addirittura da noi creato!"
 

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Capitolo XXI: Piano difensivo/offensivo.

"Non c'era più dubbio: la nostra città era cresciuta a tal punto che avevamo bisogno di difenderci, non più in città, ma prima che i nemici potessero arrivarci.

E così optammo per la costruzione di un forte: la città era già abbastanza grande e mancavano solo gli ultimi ritocchi ed una struttura come quella ci avrebbe aiutato molto a difendere i nostri territori, soprattutto vicino al fiume dove avevamo appena termianto la costruzione del ponte in pietra e legno.

Mi fu affidato l'incarico di scegliere la posizione migliore e, dopo alcune osservazioni, fu posata la prima pietra (In realtà era un semplice palo di legno su cui era stata issata una bandiera)

Furono istituiti i turni di guardia e la città fu collegata al forte tramite una strada sterrata ed un telegrafo; metà dei cittadini dormiva a Gettybsurg, l'altra metà al forte e, in caso di bisogno, rafforzavamo la guardia.

Così passarono alcuni mesi tranquilli, osservando il lento passare dell'estate e l'avvicinarsi della stagione più mite."
 

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Capitolo XXIIL'assedio.

"Uno notte, durante il turno di guardia al forte, si trovavano due sentinelle su una torre recentemente costruita. Una leggera brezza soffiava da nord a sud.

-Ehy Benjamin- sentii dire una, mentre io mi stavo abbeverando alla fonte,
-Cosa? ... o diamine! Aiuto! Aiuto!-

Mi asciugai la faccia ed accorsi preoccupato: uno dei due era stato colpito tra i due occhi da una freccia appuntita ed adesso giaceva esanime sulla torre

-Oh no! Gli indiani! Ehy Benjamin tirati giù presto! Vai a chiamare a qualcuno senza esporti!-

L'uomo ubbidì ed io mi acquattai facendomi scudo con il cadavere; era ancora caldo. Caricai il fucile e preparai le pallottole d'emergenza. Cosa fare? Avrebbero attaccato? Sicuramente, non si uccide un uomo per divertimento, erano di sicuro lì in molti: le mie orecchie si erano abituate al silenzio ed avvertii la presenza di qualche cavallo e di qualche voce umana.
Utilizzando quel poco che sapevo della lingua insegnatami da mia madre:

-Cosa volete?- ma nessuno rispose, dove erano Qwein e gli altri? Stavo iniziando a preoccuparmi.
Ad un certo punto ricomparve Benjamin Linus e gli urlai:

-Benjamin, chama rinforzi col telegrafo! Tutti!- e ritornò nell'edificio.

Per un istante pregai; sarebbe stata una notte di fuoco e di morte, ed io volevo far la parte del vivo.
 

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Dai Noia era così bella

NOIA NOIA NOIA NOIA!!!!!!!!!!
 

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OOOOk, se proprio vuoi...

Capitolo XXIII Tante croci in un campo.

"Eh sì, non fu affatto facile respingere quell'attacco: nel silenzio più assoluto quei maledetti Navajo si muovevano con l'agilità dei gatti, incoraggiati dai grossi fucili che noi stessi gli avevamo venduto in cambio qualche donna da divertimento...

Ma non avevano fatto i conti con l'oste (Io) e l'osteria intera (I miei cittadini): dalla mia torre mi dedicavo al mio gioco preferito, il tiro al piattello, ed avevo già messo qualche colpo a buon segno (Chi pulirà la terra dal sangue, mi chiedevo), quando finalmente arrivarono i rinforzi pesanti per le armi ed appesantiti dalla cena mal digerita... soprattutto Balza.

Uno, due, tre, quattro, dieci, cinquantasei corpi rimasero a terra esanimi e ventuno feriti furono finiti dalle nostre baionette affilate.

Nessuno dei nostri cadde, ma due furono feriti pesantemente...
Alla fine tutti gli indiani caduti ricevettero una veloce sepoltura cristiana all'ingresso del forte, più di quello che si erano meritati, come monito per tutti."
 

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Poco rompi prego :D

Capitolo XIV:Il disastro.

"Pare però che i nostri amici dalla pelle rossa non fossero capaci di capirla con le buone, o almeno il tiro al piattello avvenuto al forte lo consideravo un buon modo per tenerli tra i ranghi, perchè già due giorni dopo li avvistammo nelle nostre pianure dove il bovaro Mac era solito pascolareil bestiame... non un buon segno, e tutto peggiorò quando dal campo si levarono dei fumi da sparo.

-Maledizione! Quando impareranno? Vogliono proprio che mi arrabbi?!- Pensai tra me, e forse era così: magari volevano provare le specialità della casa, il mio revolverozzo nuovo di pacca con ancora l'imballaggio...

Poco dopo, veloce come il fulmine, Mac arrivò nella piazza della città sudato e spaventato, ma aveva sempre voglia di scherzare:

-Tranquilli cittadini, pausa cannetta.- ci disse tra il mezzo sorriso generale,
-Pausa un corno! Parla!- ribattè Qwein arrabbiato,
-Sono arrivati, in dieci, tutti a cavallo, hanno iniziato a sparare in aria e senza colpire niente, forse credevano che bastasse per spaventarmi...-
-Effettivamente- disse Balza - è bastato- e nuove risa...
-Ed il bestiame?- domandai,
-Quello? Non è stato veloce come me, lo hanno portato via.- disse Mac.
-Dobbiamo riprendercelo, non posso vivere di vegetali, io- sbraitai,
-Ovvio, di carote non si vive.- parlò Qwein e l'intera città salii sui cavalli e partì in direzione del'insediamento indiano.

In mezzo alla polvere del mucchio, c'ero anche io, pistola carica in pugno, pensando tra me su quanto sangue fosse stato gettato inutilmente tra le due genti, e non avevo il coraggio di dire - E' colpa loro- D'altronde, noi eravamo gli occupanti abusivi e loro gli antichi abitanti, ed io ero per metà indiano."
 

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Haha il bovaro Mac xD :D

Grande come al solito! sei bravissimo ;)


Riscaldiamo i ferri adesso xD :)
 
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