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>> segue Assalto alla Diligenza
Mi appoggio allo schienale mentre guardo i miei compagni di viaggio, una bella famigliola puritana con una piccola dagli occhi luminosi che siede fra me e la mamma, che non alza mai lo sguardo, se non pertener la figlioletta a freno, mi par di rivivere ricordi ormai lontani, di fronte a noi siede compostamente e severamente il padre, decisamente troppo giovane per aver un’aria così austera, accanto a lui ma in modo da non sfiorarlo neppure siede un tipo che pare troppo simpatico per esser vero, veste pantaloni eleganti, un panciotto marrone, una bombetta ed una marsina nera, dalla cui tasca ogni tanto prende un sorso di una boccetta d’elisir, che dice esser un tonico prodigioso, adatto a lenire tutti i malanni, dal mal di denti al mal di vivere, diffidi un poco sempre di tali persone, assomigliano un pò troppo ai ciarlatani che vedevo all’opera per gabbare gli incauti… a proposito di gabbare… per un momento mi ero distratta… ma che avranno in mente quei quattro? Un bel problema cercare il bandolo di una matassa arruffata di tutte quelle idee che devono frullargli in testa.
Un sospetto improvviso, che sia stato un piano per liberarsi di me? No, ad un esame più approfondito non regge, poi do un’occhiata rapida, il denaro è nella borsa è tutto quel che hanno vinto, il mistero s’infittisce, cosa staranno studiando ancora, ma non riesco a venirne a capo, bene pensiamo ad altro, guardo ancora i miei compagni di viaggio, l’unica che reputerei interessante al punto da poterci parlare è la piccola occhi lucenti, nei suoi occhi la limpidezza e la curiosità tipica dei piccoli che però verrà presto tenuta a freno ed imbrigliata dalla convenzioni sociali, è da sola e non avrà la forza di resistere alle pressioni che l’attendono a meno che non sia ribelle più di quanto non creda, ci sta un piccolo lampo in quegli occhi vivaci che sarebbe un delitto spegnere, ma non voglio metterla nei guai, già il padre mi guarda col cipiglio tipico del capofamiglia responsabile che mai permetterebbe ad una donna sola di viaggiare così, la sua aria di disapprovazione totale non mi tocca per nulla, e guardare lo pseudo gentiluomo è ancora peggio, torno a rifugiarmi nei miei pensieri.
La diligenza va corre fra nugoli di polvere che per fortuna le tendine tirate ci risparmiano un poco, solo il suo traballare fa capirne la veloce andatura, il postiglione incita i cavalli ad un galoppo rapido, oziosamente mi chiedo il perché, non pare una zona pericolosa, i soliti cactus, la solita pianura con le salsola che rotolano nel vento formando intricati grovigli spinosi che viaggiano anche per lunghe distanze portate dalle correnti d’aria calda, il paesaggio corre ora la diligenza col suo rollare regolare stimola il sonno, la giovane donna s’è appisolata colla figliola, il padre è immerso nella lettura del libro sacro, il gentiluomo dopo tentativi inutili di intavolare conversazioni, si abbassa la bombetta sugli occhi e anche lui si ritira in un suo mondo, io continuo a pensare fitto fitto allo strano comportamento dei …fratelloni, ma non riesco ad arrivare a nessuna plausibile motivazione.
Sembra tutto rallentare, il tempo sembra fermo ed immoto, tutto pare fissarsi in una atmosfera sonnolenta e pacifica, nessuna cosa a rompere un equilibrio quasi perfetto, il silenzio è una dimensione surreale, neppure il nitrir dei cavalli od il colpir il terreno cogli zoccoli veloci, riesce a turbare quel momento, ma ecco un variare della velocità, un aumento improvviso, lo schiocco della frusta aumenta la sua frequenza, s’ode un grido lontano, che tuttavia pare aumentare velocemente, ci guardiamo ora perfettamente attenti, non pare il grido dei coyotes o di altre bestie… pare paiono grida umane, no non è esatto non son grida… son urla… urla che hanno solo uno scopo terrorizzare e ci riescono bene, la madre stringe a se la piccola, quasi a proteggerla, ma ancora non si sa da cosa, il gentiluomo sussurra solo una parola… “indiani” il padre si fa il segno di croce chiamando a protezione chi forse non sa, ma rappresenta la sua ancora, la sua sicurezza, non ho la sua stessa certezza, ma lo capisco bene, le urla si fan sempre più vicine e risuonano agghiaccianti.
Si sentono sibilare frecce, il loro fischio le porta troppo vicine, i postiglioni rispondono col fuoco, uno guida come un forsennato, l’altro cerca di tamponare l’assalto dei guerrieri, nessuno di noi si affaccia, una freccia si conficca nella portiera, gli spari ora tacciono dopo un grido di dolore, la carrozza si ferma lentamente, gli indiani ci raggiungono, il gentiluomo impallidisce, “irochesi” ci dice “ la tribù più sanguinaria e feroce del West, non conoscono alcuna pietà per nessuno, se avete un dio che vi ascolti raccomandatevi a lui, non sperate pace o misericordia da lor, sperate solo in una morte veloce” gli si era risvegliata la parlantina, peccato che la usava a sproposito, raccontando che usavano torturare lentamente le loro vittime fino alla morte e mangiarne pezzi del corpo, usavano prendere donne bianche e bambine come prede di guerra, costringendole a essere le loro schiave e strappavano via gli scalpi facendone merce di scambio, alla fine sbottai “tacete una buona volta”, nel frattempo i guerrieri indiani ci avevano raggiunto, uno di questi in francese ci intimò di scendere, così facemmo, naturalmente scesi per prima, dopo di me il padre, tenendo per mano moglie e figlia, il gentiluomo scese per ultimo.
Colla coda dell’occhio notai che i tre compagni del guerriero erano rimasti indietro e ci tenevano sotto la mira degli archi, ma non si avvicinarono più di tanto, da lontano erano possenti guerrieri indossavano casacche di pelle di daino e pantaloni colle frange, nei capelli portavano piume, i loro visi erano dipinti coi colori che presumo fossero di guerra, ma non ne ero sicura, sembravano statue da quanto erano immobili, ma all’occorrenza sapevano muoversi colla rapidità e la pericolosità di un serpente, i miei unici contatti erano stati di ben altro genere, rispetto a questi, adesso il loro capo o quello che credo sia tale ci rivolge una lunga tirata in francese, di cui naturalmente non capiamo nulla, si vede che comprende la nostra incapacità e passa ad un inglese che pare stentato e dice “Io, Fortebraccio… loro potenti guerrieri” indicando i compagni, poi riprende” voi, carne da macello” e sputa per terra con disprezzo, la donna dietro di me si aggrappa al marito terrorizzata, più terrorizzato di lei, ma che cerca di far coraggio a lei ed alla piccola che nasconde il viso nella giacca del padre, fa veramente paura quella figura, dipinta con colori violenti fra cui il nero ed il giallo con strisce di rosso a nascondergli i lineamenti di uomo deciso a tutto per ottenere ciò che volesse.
Scende da cavallo ma non si avvicina, mi fa cenno di andare da lui, “vieni donna” quando sento un tono del genere di solito mi ribolle il sangue e forse è questo che mi fa tenere a bada la paura, ebbene sì lo ammetto…Auriel sa cosa sia la paura, per se per gli altri, ma la affronta a testa alta, si muore una volta sola, ma chi ha paura muore ogni giorno un poco e la paura non mi fermerà… mai, mi avvicino a lui piano a testa alta, non deve veder la paura nei miei occhi, potrà sopraffarmi tranquillamente, sono circa poco più della metà di lui, ma non gli darò la soddisfazione di mostrargli la mia paura, appena sono vicina mi prende davanti a se imprigionandomi con un braccio e puntando il machete che aveva al fianco alla mia gola, adesso indica il gentiluomo chiacchierone “ tu, porta qui tutto il denaro, e quello che ci sta di prezioso, svelto” alla faccia dell’inglese stentato, ma il machete alla gola chissà perché mi convince a star zitta, del resto la sua stretta mi soffoca, il gentiluomo si affretta a mettere denaro e gioielli in una borsa e sta per portargliela, ma Fortebraccio sibila “ Fermo” fa un cenno del capo ai guerrieri che mandano un paio di cavalli verso di noi, uno mi pare di conoscerlo, assomiglia così tanto al mio Pegaso che mi vengono i lucciconi, …va beh non mostrare paura al nemico, ma quando ci sta… ci sta.
La lama del machete brilla di un lucido splendore pare un gioiello rilucente al sole, il suo filo è un rasoio, appena poggia sulla mia pelle, e sento qualcosa scivolare piano, come piccole gocce, ma non ci sta dolore solo la consapevolezza che stavolta la storia di Auriel sta per terminare, in un assolato meriggio del West, non una morte da eroina, la morte non è mai tale, non si muore da eroi o da vili, la morte è solo una, ci sta lei e non ci sei più tu, vedo il terrore nel volto dei miei compagni di viaggio, pensano che sia finita anche per loro, Fortebraccio fa segno al gentiluomo di posare tutto sui due cavalli, anche la mia borsa che giaceva a terra dove l’avevo lasciata cadere sperando che non se ne accorgesse, e dove ci stavano tutti i denari vinti a poker, da Kublyk ecco che i due cavalli hanno più di quanto possano portare e la situazione par volgere al peggio, non ci sta nulla che si frapponga fra noi e la morte ora e probabilmente solo il coraggio di chi non ha più nulla da perdere mi fa tentare l’ultima carta che il destino mi ha messo in mano, barattare la mia vita per la loro, per quella dei miei compagni di viaggio e mi sento dire… sento la mia voce che dice in un sussurro” prendi me e lascia viver loro” una risata che stilla scherno mi risponde, dura, “ io prendo quello che voglio senza patti, tu verrai con me, loro moriranno” è stato tutto inutile, anche il mio tentativo, mi preparo al bacio mortale, alla gelida carezza dell’acciaio sulla mia pelle, l’unico bacio d’amore che riceverò in vita mia, un amore totale che da la morte in cambio della vita, sono lì pronta.
Mi appoggio allo schienale mentre guardo i miei compagni di viaggio, una bella famigliola puritana con una piccola dagli occhi luminosi che siede fra me e la mamma, che non alza mai lo sguardo, se non pertener la figlioletta a freno, mi par di rivivere ricordi ormai lontani, di fronte a noi siede compostamente e severamente il padre, decisamente troppo giovane per aver un’aria così austera, accanto a lui ma in modo da non sfiorarlo neppure siede un tipo che pare troppo simpatico per esser vero, veste pantaloni eleganti, un panciotto marrone, una bombetta ed una marsina nera, dalla cui tasca ogni tanto prende un sorso di una boccetta d’elisir, che dice esser un tonico prodigioso, adatto a lenire tutti i malanni, dal mal di denti al mal di vivere, diffidi un poco sempre di tali persone, assomigliano un pò troppo ai ciarlatani che vedevo all’opera per gabbare gli incauti… a proposito di gabbare… per un momento mi ero distratta… ma che avranno in mente quei quattro? Un bel problema cercare il bandolo di una matassa arruffata di tutte quelle idee che devono frullargli in testa.
Un sospetto improvviso, che sia stato un piano per liberarsi di me? No, ad un esame più approfondito non regge, poi do un’occhiata rapida, il denaro è nella borsa è tutto quel che hanno vinto, il mistero s’infittisce, cosa staranno studiando ancora, ma non riesco a venirne a capo, bene pensiamo ad altro, guardo ancora i miei compagni di viaggio, l’unica che reputerei interessante al punto da poterci parlare è la piccola occhi lucenti, nei suoi occhi la limpidezza e la curiosità tipica dei piccoli che però verrà presto tenuta a freno ed imbrigliata dalla convenzioni sociali, è da sola e non avrà la forza di resistere alle pressioni che l’attendono a meno che non sia ribelle più di quanto non creda, ci sta un piccolo lampo in quegli occhi vivaci che sarebbe un delitto spegnere, ma non voglio metterla nei guai, già il padre mi guarda col cipiglio tipico del capofamiglia responsabile che mai permetterebbe ad una donna sola di viaggiare così, la sua aria di disapprovazione totale non mi tocca per nulla, e guardare lo pseudo gentiluomo è ancora peggio, torno a rifugiarmi nei miei pensieri.
La diligenza va corre fra nugoli di polvere che per fortuna le tendine tirate ci risparmiano un poco, solo il suo traballare fa capirne la veloce andatura, il postiglione incita i cavalli ad un galoppo rapido, oziosamente mi chiedo il perché, non pare una zona pericolosa, i soliti cactus, la solita pianura con le salsola che rotolano nel vento formando intricati grovigli spinosi che viaggiano anche per lunghe distanze portate dalle correnti d’aria calda, il paesaggio corre ora la diligenza col suo rollare regolare stimola il sonno, la giovane donna s’è appisolata colla figliola, il padre è immerso nella lettura del libro sacro, il gentiluomo dopo tentativi inutili di intavolare conversazioni, si abbassa la bombetta sugli occhi e anche lui si ritira in un suo mondo, io continuo a pensare fitto fitto allo strano comportamento dei …fratelloni, ma non riesco ad arrivare a nessuna plausibile motivazione.
Sembra tutto rallentare, il tempo sembra fermo ed immoto, tutto pare fissarsi in una atmosfera sonnolenta e pacifica, nessuna cosa a rompere un equilibrio quasi perfetto, il silenzio è una dimensione surreale, neppure il nitrir dei cavalli od il colpir il terreno cogli zoccoli veloci, riesce a turbare quel momento, ma ecco un variare della velocità, un aumento improvviso, lo schiocco della frusta aumenta la sua frequenza, s’ode un grido lontano, che tuttavia pare aumentare velocemente, ci guardiamo ora perfettamente attenti, non pare il grido dei coyotes o di altre bestie… pare paiono grida umane, no non è esatto non son grida… son urla… urla che hanno solo uno scopo terrorizzare e ci riescono bene, la madre stringe a se la piccola, quasi a proteggerla, ma ancora non si sa da cosa, il gentiluomo sussurra solo una parola… “indiani” il padre si fa il segno di croce chiamando a protezione chi forse non sa, ma rappresenta la sua ancora, la sua sicurezza, non ho la sua stessa certezza, ma lo capisco bene, le urla si fan sempre più vicine e risuonano agghiaccianti.
Si sentono sibilare frecce, il loro fischio le porta troppo vicine, i postiglioni rispondono col fuoco, uno guida come un forsennato, l’altro cerca di tamponare l’assalto dei guerrieri, nessuno di noi si affaccia, una freccia si conficca nella portiera, gli spari ora tacciono dopo un grido di dolore, la carrozza si ferma lentamente, gli indiani ci raggiungono, il gentiluomo impallidisce, “irochesi” ci dice “ la tribù più sanguinaria e feroce del West, non conoscono alcuna pietà per nessuno, se avete un dio che vi ascolti raccomandatevi a lui, non sperate pace o misericordia da lor, sperate solo in una morte veloce” gli si era risvegliata la parlantina, peccato che la usava a sproposito, raccontando che usavano torturare lentamente le loro vittime fino alla morte e mangiarne pezzi del corpo, usavano prendere donne bianche e bambine come prede di guerra, costringendole a essere le loro schiave e strappavano via gli scalpi facendone merce di scambio, alla fine sbottai “tacete una buona volta”, nel frattempo i guerrieri indiani ci avevano raggiunto, uno di questi in francese ci intimò di scendere, così facemmo, naturalmente scesi per prima, dopo di me il padre, tenendo per mano moglie e figlia, il gentiluomo scese per ultimo.
Colla coda dell’occhio notai che i tre compagni del guerriero erano rimasti indietro e ci tenevano sotto la mira degli archi, ma non si avvicinarono più di tanto, da lontano erano possenti guerrieri indossavano casacche di pelle di daino e pantaloni colle frange, nei capelli portavano piume, i loro visi erano dipinti coi colori che presumo fossero di guerra, ma non ne ero sicura, sembravano statue da quanto erano immobili, ma all’occorrenza sapevano muoversi colla rapidità e la pericolosità di un serpente, i miei unici contatti erano stati di ben altro genere, rispetto a questi, adesso il loro capo o quello che credo sia tale ci rivolge una lunga tirata in francese, di cui naturalmente non capiamo nulla, si vede che comprende la nostra incapacità e passa ad un inglese che pare stentato e dice “Io, Fortebraccio… loro potenti guerrieri” indicando i compagni, poi riprende” voi, carne da macello” e sputa per terra con disprezzo, la donna dietro di me si aggrappa al marito terrorizzata, più terrorizzato di lei, ma che cerca di far coraggio a lei ed alla piccola che nasconde il viso nella giacca del padre, fa veramente paura quella figura, dipinta con colori violenti fra cui il nero ed il giallo con strisce di rosso a nascondergli i lineamenti di uomo deciso a tutto per ottenere ciò che volesse.
Scende da cavallo ma non si avvicina, mi fa cenno di andare da lui, “vieni donna” quando sento un tono del genere di solito mi ribolle il sangue e forse è questo che mi fa tenere a bada la paura, ebbene sì lo ammetto…Auriel sa cosa sia la paura, per se per gli altri, ma la affronta a testa alta, si muore una volta sola, ma chi ha paura muore ogni giorno un poco e la paura non mi fermerà… mai, mi avvicino a lui piano a testa alta, non deve veder la paura nei miei occhi, potrà sopraffarmi tranquillamente, sono circa poco più della metà di lui, ma non gli darò la soddisfazione di mostrargli la mia paura, appena sono vicina mi prende davanti a se imprigionandomi con un braccio e puntando il machete che aveva al fianco alla mia gola, adesso indica il gentiluomo chiacchierone “ tu, porta qui tutto il denaro, e quello che ci sta di prezioso, svelto” alla faccia dell’inglese stentato, ma il machete alla gola chissà perché mi convince a star zitta, del resto la sua stretta mi soffoca, il gentiluomo si affretta a mettere denaro e gioielli in una borsa e sta per portargliela, ma Fortebraccio sibila “ Fermo” fa un cenno del capo ai guerrieri che mandano un paio di cavalli verso di noi, uno mi pare di conoscerlo, assomiglia così tanto al mio Pegaso che mi vengono i lucciconi, …va beh non mostrare paura al nemico, ma quando ci sta… ci sta.
La lama del machete brilla di un lucido splendore pare un gioiello rilucente al sole, il suo filo è un rasoio, appena poggia sulla mia pelle, e sento qualcosa scivolare piano, come piccole gocce, ma non ci sta dolore solo la consapevolezza che stavolta la storia di Auriel sta per terminare, in un assolato meriggio del West, non una morte da eroina, la morte non è mai tale, non si muore da eroi o da vili, la morte è solo una, ci sta lei e non ci sei più tu, vedo il terrore nel volto dei miei compagni di viaggio, pensano che sia finita anche per loro, Fortebraccio fa segno al gentiluomo di posare tutto sui due cavalli, anche la mia borsa che giaceva a terra dove l’avevo lasciata cadere sperando che non se ne accorgesse, e dove ci stavano tutti i denari vinti a poker, da Kublyk ecco che i due cavalli hanno più di quanto possano portare e la situazione par volgere al peggio, non ci sta nulla che si frapponga fra noi e la morte ora e probabilmente solo il coraggio di chi non ha più nulla da perdere mi fa tentare l’ultima carta che il destino mi ha messo in mano, barattare la mia vita per la loro, per quella dei miei compagni di viaggio e mi sento dire… sento la mia voce che dice in un sussurro” prendi me e lascia viver loro” una risata che stilla scherno mi risponde, dura, “ io prendo quello che voglio senza patti, tu verrai con me, loro moriranno” è stato tutto inutile, anche il mio tentativo, mi preparo al bacio mortale, alla gelida carezza dell’acciaio sulla mia pelle, l’unico bacio d’amore che riceverò in vita mia, un amore totale che da la morte in cambio della vita, sono lì pronta.
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