non poteva mancare una storia di Halloween
Sto salendo le scale dell'albergo verso la mia stanza.
Il corridoio e fiocamente illuminato dalle lampade a olio accese alternate, come è uso tenerle la notte.
Ho passato la serata al saloon, c'era più allegria del solito visto che anche quest'anno siamo arrivati a fine ottobre....Halloween, la festa per celebrare il ritorno dei morti tra i vivi.
Non so cosa ci sia da festeggiare nel ritrovarsi davanti uno che è morto e magari gli devi dei soldi, oppure la suocera di cui eri riuscito a liberarti l'anno prima, suo malgrado.
Mettere zucche vuote intagliate con dentro candele ovunque...dicono che sia per spaventare le presenze indesiderate, anche se la leggenda racconta ben altro.
Tutte stupidaggini per superstiziosi!
Apro la porta della stanza e mi libero del soprabito che getto sulla sedia accanto al letto.
Nella stanza buia, tagliata dai raggi della luna piena che filtrano dalle imposte, raggiungo il tavolo e accendo la lampada della mia stanza. Lì accanto la luce illumina la piccola cassetta di legno sporca di terra che ho trovato questo pomeriggio.
Stavo aiutando a scavare nuove tombe, ormai siamo arrivati oltre il vecchio cimitero, fuori dalla terra consacrata.
Domani il reverendo provvederà a benedirla per ospitare altri sventurati.
Non ho ancora voglia di dormire e mi siedo davanti al tavolo, mi avvicino la luce e la cassa.
Con un coltello cerco di schiodare le piccole assi che ormai oppongono poca resistenza dopo non so quanti anni rimaste sotterrate.
E' più la curiosità che la speranza di trovare qualcosa di valore che mi spinge a farlo. La curiosità aumenta quando dentro trovo un altro piccolo scrigno avvolto in quella che poteva essere una pergamena.
Il manoscritto è talmente malmesso che provando a stenderlo mi si rompe tra le mani e non si legge più niente. Avvicino la lampada ai brandelli di foglio rimasti. Riesco a decifrare solo una data, risale a circa cento anni fa.
Riporto l'attenzione al cofanetto di legno scuro, non più grande di una scatola per sigari, chiuso da un lucchetto e quella che sembra ceralacca con un sigillo sopra su tutti e quattro i lati.
La cura con cui è stato chiuso mi fa sperare in piccolo tesoro e mi affretto nell'operazione.
Faccio leva con il coltello per togliere i sigilli che saltano facilmente, il piccolo lucchetto è un osso più duro, ma riesco a scardinarlo.
Sollevo il coperchio e non vedo niente.
Poi controllo meglio e vedo quello che sembra un orologio da taschino in un angolo e della polvere marroncina sul fondo.
É uno scherzo? Chi chiuderebbe così bene solo per un orologio del genere?
Lo prendo con due dita per la catenella e lo sollevo nella luce della lampada per guardarlo meglio.
È un orologio da donna a conchiglia, di quelli che si mettono intorno al collo, di forma tonda, cassa in acciaio con qualche arabesco inciso sulla parte frontale, niente di straordinario.
Ci ricaverò a malapena dieci dollari se solo funzionasse, chissà cosa mi aspettavo di trovare!
Premendo sul piccolo bottone si apre e dentro il coperchio c'è un'immagine, cosa abbastanza comune portare con sé l'immagine di un caro dentro certi oggetti, li fanno anche per questo.
È un disegno fatto a inchiostro, ma rimango stupito dalla perfezione dei dettagli rappresentati in uno spazio così piccolo e dalla conservazione perfetta nonostante tutto il tempo passato chiuso sotto terra.
Il ritratto, in bianco e nero, rappresenta il volto di un giovane ragazza con capelli scuri che le scendono dietro le spalle, una frangia sulla fronte che le arriva fino alle sopracciglia leggermente corrucciate, gli occhi chiari che ti guardano fissi, il naso ben proporzionato e un po' all'insù, la bocca piccola con labbra carnose.... non sorride.
Guardo per qualche secondo quel volto e mi sale una sensazione di angoscia, è espressione di tristezza e paura.
Vecchie storie, è passato un secolo, e poi domani lo venderò all'emporio, non voglio pensarci più.
Giro la corona per dargli la carica e vedere se funzioni ancora. Si sente la molla che tira, il ticchettio riparte e la lancetta piccola si muove.
Almeno è funzionante. Prendo il mio orologio dal taschino e rimetto il piccolo pendente all'orario giusto, lo poso sul tavolo e mi preparo a dormire. Il nuovo ticchettio mi fa da sonnifero e mi addormento.
Sento dei passi nel corridoio, ad occhi aperti ascolto meglio. Non è insolito che qualcuno rientri tardi in albergo, ma questi fanno avanti e indietro come se cercassero qualcosa e non si curano neanche di fare poco rumore. Dai passi capisco che sono in due, si muovono lentamente e uno è sicuramente zoppo, da sotto lo spiraglio della porta vedo delle ombre che gli passano davanti. Meglio stare all'erta. Lentamente prendo la pistola che tengo a portata di mano sul comodino, non si sa mai. I passi si allontanano verso le scale e le scendono.
Si dice che la curiosità uccise il gatto.... ma io non sono un gatto. Mi alzo e mi vesto in fretta, neanche finisco di abbottonarmi la camicia, prendo il cinturone con la pistola e il pugnale. Cerco di aprire la serratura senza fare rumore e sbircio dalla porta, non vedo nessuno e mi avvio verso le scale scendendole silenziosamente. Ci sono delle assi scricchiolanti ma ormai so dove mettere i piedi, sono sgattaiolato via alcune volte per evitare incontri "casuali" di alcuni vicini di stanza, sempre impazienti di riavere i loro soldi .... spilorci!
Mi affaccio all'uscita e mi guardo intorno, la luna rischiara la strada con la sua luce senza colore, le due figure si dirigono verso la chiesa in fondo alla strada principale della città, si muovono senza fretta , uno ha un andamento claudicante. I due sono magri e malvestiti: senza nessun copricapo con delle camicie cadenti e dai pantaloni strappati, il chiarore della luna non mi permette di vedere altro.
Mi fa caso che nessuno li abbia notati e mi accorgo che c'è un silenzio totale. È strano che fino a poche ora fa c'era festa e adesso è tutto silenzioso. Non mi interrogo oltre sulla cosa, devo seguire i due straccioni.
Non voglio che si accorgano di me e li seguo a distanza fino alla chiesa dove li vedo andare sul retro.
Che vogliano entrare in chiesa a rubare? Meglio andare in fondo a questa storia, se così fosse chiederò aiuto allo sceriffo.
Faccio capolino dietro l'angolo e non vedo più niente, l'ombra della chiesa proietta una zona di buio fitto dove non riesco a scorgere nessun movimento. Mi faccio coraggio del fatto che non sento rumori e mi immergo nell'ombra per raggiungere l'accesso alla sacrestia. Nell'aria ferma sento un odore strano, forse in chiesa hanno lasciato un corpo in attesa del suo posto nel cimitero.
Ricordo dove si trova la porta e con la mano cerco la maniglia.
Mi sento afferrare per le braccia e sdraiare a terra sulla schiena.
Che botta! Non vedo niente, sento solo che mi stanno trascinando da qualche parte. Cerco di scalciare per liberarmi dalla presa, ma le mani sono salde intorno alle mie braccia. Non credevo che due tipi smunti fosserò così forti!
Dove mi stanno portando?
Mi fermo per riflettere sulla mia sventurata situazione e mi accorgo che mi stanno portando verso il cimitero e appena fuori dal buio cerco di vederli in volto.
Ma chi diavolo sono? O meglio...cosa sono?
I loro volti sono quelli di un cadavere: grigi sotto la luce lunare, allo zoppo che mi tiene a destra manca tutta la pelle della faccia, si vedono i denti e il naso è mancante,le orbite degli occhi sono vuote; l'altro alla mia sinistra ha la pelle secca aderente sul volto, ma ha il cranio sfondato dal colpo che probabilmente lo ha ucciso.
Cosa vogliono farne di me?
Inutile agitarsi, sono più forti di me , non li smuovo dalle loro intenzioni.
Il tratto che separa la chiesa dal cimitero è breve e presto vedo passarmi accanto i muretti in pietra che lo delimitano.
Fatta poca strada mi lasciano a terra. Con quanta velocità mi concede la paura mi rialzo in piedi e mi preparo a fronteggiarli, ma loro non si muovono più.
Mi guardo intorno per vedere se ci sono altri orrori e mi accorgo che il paesaggio intorno a me non è lo stesso che conosco.
Il nostro piccolo cimitero è ben ordinato, le lapidi messe in perfetta fila su un prato sempre rasato e le croci in legno per le sepolture più nuove, al centro ci fu piantato un salice a significare che anche dopo la tristezza del trapasso c'è ancora vita, oggi è una bella pianta che domina sulle basse lapidi come fossero arbusti di pietra, come per dire che lui è vivo. Durante le giornate di sole tiene all'ombra i fortunati che vi sono seppelliti sotto.
L'immagine che ho intorno non è più questa, è completamente diversa.
Le lapidi sembrano abbandonate da anni, piene di sporco, rotte e alcune divelte, l'erba cresciuta troppo è secca, alcune tombe sono scavate o, come ho capito dopo, sono state aperte da sotto, tanto che in giro ci sono ancora tavole e coperchi delle bare.
Il rigoglioso salice non lo è più, adesso è un albero secco, senza più le sue verdi fronde cadenti, non trasmette più la sensazione di vita, ma di morte.
Un'aura di morte che contagia tutto il camposanto e mi entra nello spirito.
No so cosa fare.
Cosa vogliono questi da me? Ho paura. Sono certo che le mie armi sono inutili contro quello che mi sta accadendo intorno.
A pochi metri dal salice secco si materializzano tre individui che risaltano nel buio.
Sono bianchi, quasi trasparenti, riesco a vedere oltre la loro figura e emanano un bagliore tenue e freddo.
Così sono fatti i fantasmi che ho sentito in tante storie?
Scappare è inutile, dietro di me sono arrivati altri cadaveri ambulanti a dare man forte ai due che mi hanno trascinato qui, adesso saranno una dozzina, cosa posso fare contro questi abomini innaturali?
Ora i tre fantasmi hanno una forma definita e posso immaginare dai loro abiti con chi ho a che fare.
Hanno l'aspetto che avevano in vita e posso identificare almeno che lavoro facessero da vivi.
A destra c'è un uomo magro e alto vestito con abiti di una persona rispettabile del secolo passato, ma sono abbastanza semplici, in testa porta un copricapo triangolare e dal collare che porta capisco che fu un sacerdote.
A sinistra un uomo robusto in abiti meno formali, un cappello a falda larga, due baffoni folti sotto un naso a patata, una giacca da viaggio con sopra un distintivo, calzoni larghi e stivali, ma quello che lo contraddistingue sono le pistole ad avancarica alla cintura, sicuramente ebbe il compito di far rispettare la legge.
Al centro un uomo più basso degli altri e grasso, con l'abbigliamento inconfondibile di un giudice con tanto di parruccone in testa e una lunga toga che fa risaltare la sua pancia rotonda!
Lo sceriffo fantasma sbotta con una voce grossa:
- Sei stato tu? Sei stato tu a liberare la strega?
- Non so di cosa tu stia parlando, io non conosco nessuna strega.
Rispondo.
Il giudice alza una mano e parla con aria superba:
- Sei accusato di aver liberato dalla sua prigione la strega che con tanta fatica eravamo riusciti a eliminare dalla nostra città. Abbiamo percepito la sua presenza liberarsi dalla tua stanza e siamo venuti per fare giustizia.
- Io non ho visto nessuna strega, non ci sono mai state streghe nella nostra città.
Rispondo in maniera decisa anche se nella mia testa inizia a formarsi un'idea di quello a cui si riferiscono i due. Se mi avessero raccontato una storia del genere non ci avrei mai creduto e tutt'ora stento a crederci se non fosse che sono nel mezzo del cimitero e sto parlando con degli spettri.
Il prete con ancora in mano il suo breviario apre leggermente le braccia e inizia a parlare con la voce più accomodante e pacata dei due, credo che lo faccia più per abitudine che per tranquillizzarmi:
- Vedi figliolo, un secolo fa dall'oggi , noi tre ci battemmo per fermare una strega malefica servitrice del demonio che terrorizzava questa città. Con i suoi malefici faceva patire questa brava gente: faceva ammalare i bambini, lanciava pestilenze sulle greggi e faceva seccare i raccolti. Non riuscivamo a catturarla e consegnarla nelle mani della giustizia divina. Siamo dovuti ricorrere alla conoscenza millenaria della Santa Chiesa per capire come fare. C'era un unico modo per fermare il suo cuore: legarlo ad un oggetto di sua proprietà fino a che questo non fosse distrutto dal tempo stesso. Noi siamo riusciti a fare di più per accelerare la sua dipartita, siamo riusciti a legarlo allo scandire del tempo dell'orologio della strega. Una volta catturata abbiamo eseguito il rituale che ci era stato insegnato dagli alti prelati, abbiamo estratto il suo cuore e lo abbiamo sigillato insieme al suo orologio in un piccolo scrigno in modo che una volta finita la carica dell'orologio anche il suo cuore si fermasse. Questa notte tu hai rotto i sigilli e fatto ripartire l'orologio. Forse il corpo della strega non potrà più esistere ma il suo spirito adesso vaga libero per le nostre terre.
Ascoltate le parole del prete non so più cosa pensare. Cosa avrei dovuto dire o fare di fronte a quella storia e per le accuse che mi erano state mosse? È vero, avevo aperto il cofanetto e fatto ripartire l'orologio, ma che ne sapevo io! Forse c'era scritto qualcosa nella pergamena, ma era illeggibile...anzi, praticamente distrutta.
Tento un'ultima mossa, dettata più dalla disperazione che dalla speranza di scappare. Estraggo la pistola e inizio a sparare contro i morti dietro di me per tentare una fuga verso l'uscita del cimitero.
Loro iniziano ad avvicinarsi incuranti delle pallottole: un sobbalzo, un pezzo di carne secca che salta, un osso che si spezza, ma sono incuranti di certe piccolezze... ormai sono morti, non sentono dolore né possono morire. Prendo il pugnale con la sinistra e inizio a colpire quelli più vicini che intanto si erano stretti in cerchio intorno a me e iniziano ad allungare i loro bracci scheletrici per afferrarmi.
È una resistenza inutile, sono troppi e i miei colpi non gli fanno niente, mi saltano addosso e mi bloccano con la faccia schiacciata sull'erba secca.
Il terrore che tutto sia finito mi assale.
Vedo solo il terreno e sento dei movimenti dietro di me, sento la voce del giudice che inizia a parlare con voce piatta, avvezza alle centinaia di sentenze che emise quando era in vita:
- Io, giudice Miller, ti condanno a morte per soffocamento da impiccagione per il crimine di aver aiutato una strega a fuggire dalla sua pena. La pena verrà eseguita seduta stante.
- Figliolo, pentiti dei tuoi peccati fino a che sei in tempo, ché la tua anima salga tra le braccia di Nostro Signore!
Avevo già sentito quelle parole altre volte in passato rivolte ai condannati per i reati più efferati, ma mai avrei creduto che un giorno fossero rivolte a me. Non sono mai stato un credente, ma dette in quel momento, quelle parole mi insinuano il dubbio che forse c'è qualcuno che ti ha dato la possibilità di scegliere la strada del bene o del male a cui, alla fine, devi rendere conto.
Sento dei rumori di tavole e vedo le ombre dei cadaveri muoversi, intanto che tre o quattro di quei corpi putrescenti mi tengono immobilizzato a terra. Non posso muovermi, lo sanno fare bene il loro lavoro!
Dopo poco mi tirano su e mi girano verso il salice e la corte fantasma.
Avevano allestito un piccolo palco usando il legno delle croci e delle bare, si distinguono le maniglie e le rifiniture in metallo delle casse, sul ramo più grosso del salice è sistemata una corda con un cappio. Non pensavo che facesse così paura quella corda quando è per te. I polmoni e il cuore accelerano il loro lavoro, non avevo mai sentito così bene il mio battito e mai avevo contato i miei respiri, ma adesso lo sto facendo, sono gli ultimi che farò.
I due corpi che mi tengono stretto per le braccia mi spingono verso il macabro palcoscenico, si muovono con scricchiolio di ossa e i volti irriconoscibili dalla putrefazione e puzzano.
Perché devo finire la mia vita in questo modo? Chi mi ritroverà penzolante ad una corda l'indomani mattina e cosa penserà?
Non posso oppormi alla mia scorta e salgo sul patibolo. Davanti a me i tre spettri assistono all'esecuzione: lo sceriffo con aria seria dietro i suoi baffoni e le braccia incrociate, il prete mormora parole a occhi chiusi, il giudice impassibile con lo sguardo fisso nei miei occhi.
Urlare è inutile, ormai sono rassegnato alla morte, non posso fare niente contro quei mostri contro natura, cercherò di morire con dignità.
La corda è già intorno al mio collo, stretta sulla mia pelle è fredda e pizzica.
Il giudice fa un cenno e il pavimento sotto i miei piedi scompare, la corda stringe velocemente il mio collo sotto il mio peso, ma non è fatta per rompermi il collo, solo per soffocarmi e darmi una morte lenta.
Ora capisco quando dicono che in punto di morte ti passano i ricordi della tua vita davanti, sta accadendo intanto che l'aria nei polmoni inizia bruciare.
Mentre rivedo scene felici della mia vita mi appare un volto di donna, la riconosco, è quella dell'orologio.
Mi guarda, mi sorride, è bella e sembra felice.
Ottimisticamente penso e spero che sia un angelo che sia venuto per accompagnarmi in paradiso.
- Grazie di avermi liberato dalla maledizione.
Nella mia coscienza che mi sta lasciando penso che non è stato un buon affare per me.
- Ti hanno mentito. Quei tre ti hanno mentito. Io non sono una strega. Sono la vittima della loro maledizione demoniaca, loro sono anime maledette che mi hanno uccisa e condannata a essere chiusa in una scatola solo perché avevo scoperto le loro malefatte. Erano loro che abusavano delle loro posizioni per vessare la gente di questa città. Io li ho denunciati alle autorità superiori e loro per vendetta mi hanno ucciso e usato arti oscure per impedirmi di raggiungere il paradiso che mi spettava. Loro sono stati condannati e giustiziati dai giudici e le loro anime ancora mi impedivano di raggiungere il mio eterno riposo. Tu hai rotto la maledizione e mi hai permesso di salire in cielo. Non avendo più uno scopo, loro saranno costretti a tornare al loro castigo infernale. Grazie in eterno per avermi reso giustizia.
I sensi mi abbandonano, non sento più niente. Spero solo che le parole della fanciulla salgano al giudice divino e che mi conceda la pace del paradiso.
Spalanco gli occhi e faccio un salto nel letto, ho il cuore che batte all'impazzata, il fiato spezzato e frenetico, la mente sconvolta. Vedo ancora il cappio davanti ai miei occhi. Cribbio come era reale!
Mi calmo un attimo, era solo un incubo, non era vero, sono ancora nella mia stanza, seduto sul mio letto con il fiatone.
Le prima luci dell'alba iniziano ad entrare da dove la notte entravano i raggi della luna. Allungo la mano sotto il letto e prendo la bottiglia di whisky che tengo di riserva, ne bevo un sorso, non fa bene a stomaco vuoto. Perché? Un cappio intorno al collo è più salutare? Mi ci vuole un sorso per riportarmi alla realtà , ancora non ne sono del tutto sicuro che sia un sogno anche questo tanto era reale l'altro.
Mi alzo dal letto e vado verso il tavolo dove vedo l'orologio che ancora ticchetta. Lo prendo in mano e lo apro, l'ora mi sembra giusta a giudicare dall'alba. Guardo la foto della ragazza, mi avvicino per confermare quello che mi è sembrato di vedere. Era ancora lì, ma adesso aveva un bel sorriso e un'espressione tranquilla.
Non voglio farmi altre domande, la curiosità può uccidere. Va bene così. Sono vivo e ho un altro giorno davanti.
Non venderò mai quest'orologio e mi impegnerò a tenerlo sempre con me e carico, sento che è la cosa giusta da fare.
Ormai la notte è passata e non ho più sonno, in strada ci sono i rumori di chi la mattina si alza presto per lavorare.
Mentre mi vesto penso che per il prossimo Halloween mi comprerò la zucca più grossa che riuscirò a trovare e ci metterò il cero più grosso che il prete possa fornirmi.
Scendo al saloon per mangiare qualcosa. Mi avvicino al bancone ed Henry esclama:
- Bella festa ieri sera eh!
- Mavaffanc...!